Ordinanza n. 108 del 1991

 

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ORDINANZA N. 108

ANNO 1991

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Ettore GALLO                                                   Presidente

Dott. Aldo CORASANITI                                         Giudice

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                       “

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANELLO                                         “

Avv. Mauro FERRI                                                          “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 259, comma secondo, del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), promossi con ordinanze emesse il 16 e 20 luglio 1990 dal Pretore di Firenze nei procedimenti penali a carico di Mazzoni Loris, iscritte ai nn. 673 e 674 del registro ordinanze 1990 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale dell'anno 1990;

Udito nella camera di consiglio del 30 gennaio 1991 il Giudice relatore Aldo Corasaniti;

Ritenuto che prima del dibattimento cui Loris Mazzoni, imputato di due contravvenzioni, era stato citato secondo il vecchio rito, il Pretore di Firenze, provvedendo su un'istanza di riunione del giudizio ad altro, cui l'imputato era stato citato davanti allo stesso giudice secondo il nuovo codice di procedura penale per rispondere dell'inottemperanza all'ordine dell'autorità amministrativa di porre fine all'attività illecita oggetto del primo processo, con ordinanza emessa il 16 luglio 1990 (R.O. n. 673 del 1990), ha sollevato, su eccezione della difesa dell'imputato, questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 25, secondo comma, della Costituzione, dell'art. 259, secondo comma, delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale (testo approvato con il decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271) in quanto esclude l'operatività della connessione, e la possibilità di riunione, tra i procedimenti che proseguono con l'osservanza del codice abrogato e quelli per i quali si applica il codice di procedura penale del 1988;

che in punto di rilevanza il giudice a quo osserva come la norma transitoria, non consentendo la riunione, esclude, sul piano del diritto sostanziale, l'applicazione della continuazione, risolvendosi "in una limitazione del diritto dell'imputato di più reati per i quali pendono diversi procedimenti nello stesso stato e grado e davanti allo stesso giudice, a chiederne la riunione, laddove ciò è espressamente previsto dal nuovo c.p.p. agli artt. 17 e 12";

che, quanto alla non manifesta infondatezza, l'autorità remittente, argomentando sulla base degli artt. 2, terzo comma, del codice penale, e 25, secondo comma, della Costituzione, premesso che la regola della retroattività della legge favorevole al reo non solo non contrasta con il principio di irretroattività ma, insieme con esso, rappresenta una particolare espressione del favor libertatis, da cui entrambi discendono, lamenta che la norma denunciata, non accogliendo il principio generale del trattamento più favorevole al reo, realizza una disparità di trattamento fra imputati ingiustificata ed irragionevole, collegata ad una circostanza - la mancata contestazione di tutti i reati o sotto il vigore del vecchio codice o sotto quello del nuovo rito - del tutto occasionale ed indipendente dalla volontà dell'imputato;

che con successiva ordinanza (R.O. n. 674 del 1990) emessa il 20 luglio 1990, la medesima autorità, davanti alla quale il medesimo imputato Loris Mazzoni era stato tratto a giudizio, ma secondo il nuovo rito nell'ambito del secondo processo cui si è accennato, ha sollevato la stessa questione, sulla base di argomentazioni di identico tenore testuale, osservando però in particolare che l'applicabilità dell'istituto della continuazione in sede di esecuzione della pena in forza dell'art. 671 c.p.p. non ha incidenza sulla rilevanza, in quanto la trattazione congiunta dei procedimenti è comunque più favorevole per l'imputato;

che nel giudizio non ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato che le due ordinanze sollevano la medesima questione, sicché i relativi giudizi possono essere riuniti e decisi con un'unica pronuncia;

che, quanto al riferimento all'art. 3 della Costituzione, una volta prevista - con la normativa di cui agli artt. 241 e 242 c.p.p., normativa che qui non è impugnata (e ciò a prescindere da ogni dubbio sulla fondatezza di una sua eventuale impugnazione: cfr. ordinanza n. 180 del 1990, in motivazione) - la possibilità della coesistenza, anche per fatti analoghi, di processi regolati da riti profondamente diversi (quello, introdotto dal nuovo codice, improntato al principio di accusatorietà e caratterizzato da semplicità e speditezza, e quello previgente), non può ritenersi irragionevole, in relazione alla detta diversità, il divieto della riunione fra i procedimenti stessi;

che, quanto al riferimento all'art. 25 della Costituzione - anche a prescindere da ogni riserva sull'operatività dei principi concernenti l'efficacia nel tempo delle norme penali sfavorevoli o favorevoli quando si tratti di effetti svantaggiosi o vantaggiosi che discendono da norme processuali e non già da norme sostanziali dettate in relazione al mutato atteggiamento della coscienza sociale relativamente al fatto tipico che ne è oggetto (sent. n. 277 del 1990) - l'applicazione della continuazione è in ogni caso possibile, nonostante il cennato divieto di riunione, anche fra reati oggetto di processi regolati rispettivamente dai due riti: in fase di cognizione, nell'ipotesi che uno dei processi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, ad opera del giudice del processo ancora in corso, secondo un principio (richiamato dalla sentenza di questa Corte n. 115 del 1987), alla cui vigenza non è di ostacolo la diversità dei riti; in sede di esecuzione di più provvedimenti irrevocabili di condanna, secondo quanto espressamente disposto dall'art. 671 c.p.p., richiamato, in riferimento all'esecuzione di provvedimenti resi in processi regolati rispettivamente dai due riti, dall'art. 260 delle norme transitorie;

che pertanto la questione è manifestamente infondata;

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale;




PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Riuniti i giudizi, dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 25, secondo comma, della Costituzione, dell'art. 259, secondo comma, delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale (testo approvato con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271), sollevate dal Pretore di Firenze con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 febbraio 1991.

 

Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA.

 

Depositata in cancelleria l'11 marzo 1991.